Celiachia o Morbo celiaco – malassorbimento

Inserito: 17/01/2011 da Anna

La Celiachia o Morbo Celiaco è una malattia che secondo le statistiche colpisce 1 italiano su 100.  E’ diventato un problema sociale in quanto l’ammalato celiaco necessita di una dieta ristretta e ha quindi bisogno  di reperire degli alimenti speciali per poter svolgere una vita normale in famiglia, sul lavoro e con gli amici.

Il Morbo Celiaco non è una malattia dei giorni nostri, ma è stata descritto sin dall’antichità a partire dal I secolo d.C. dal medico latino Celso che nell’indicare una malattia diarroica introdusse il termine ” celiaco ” dal greco “Koiliakos”, “coloro che soffrono negli intestini”. Successivamente  nel 250 d.C. un altro medico, Areteo di Cappadocia, descrisse i segni clinici di una malattia intestinale lunga e difficile da curare, identificabile con la celiachia.

Solo nel 1887  l’inglese, medico pediatra, Samuel Gee descrisse, per la prima volta in epoca moderna, la celiachia in una conferenza presso l’ospedale pediatrico Geat Ormond dove esercitava la sua professione.  Egli era un profondo conoscitore dell’antico greco e delle opere di Areteo di Cappadocia. Fu il primo a teorizzare  l’importanza della dieta per il  controllo della celiachia.

Per l’Ayurveda il Morbo Celiaco può essere inquadrato nelle malattie denominate Ajirna (indigestione) derivate da Agnimandya (Insufficienza digestiva). Questi importanti disordini digestivi sono causati dal mal funzionamento del “Sistema Agni” (Sistema Fuoco Digestivo) presente non solo nell’apparato intestinale, ma in tutti i tessuti e nelle singole cellule.

Per questo l’Ayurveda prescrive di attivare Agni per migliorare l’assorbimento dei nutrienti con preparati come Murtea Virya® che favorisce l’equilibrio della flora intestinale, aiutando  anche i villi intestinali a mantenersi attivi e bevendo tisane calde come Kapha Samya Virya® che stimola una normale attività pancreatica.

Anche per l’Ayurveda una corretta dieta è importante, ma consiglia che anche i cibi permessi debbano essere cucinati con aromi e spezie (tranne peperoncino rosso) non solo per stimolare Agni dell’individuo, ma rendere il cibo più biodisponibile. Appeto Virya®, ad esempio, è una miscela di erbe aromatiche  con sale salgemma e sale nero, idoneo per facilitare la digestione dei cibi, da impiegare sia durante la loro cottura che a crudo.


 

L’Ayurveda e la sua origine

L’Ayurveda è una conoscenza della vita antichissima, le cui radici affondano nella mitologia intesa NON come autonoma fantasia, serbatoio di eventi mentali, di idee, ma come arte e metafora delle funzioni differenti della spiritualità e dei modi dell’ organizzazione dell’esistenza caratteristici delle umanità prefilosofiche e prescientifiche.

Un altro concetto importante da mettere in risalto, per comprendere la storia mitologica dell’Ayurveda, è che un insegnamento è degno di fede se viene impartito da un maestro di cui tutti riconoscono la competenza e la virtù. Perciò, nel racconto mitico,  troveremo che il Maestro (Guru) più affidabile è la Divinità Stessa e che l’Ayurveda è un sapere divino, originariamente non destinato agli uomini.In India, inoltre, è diffusa l’opinione che ciò che viene per primo sia più importante, perchè contiene il seme originario di tutto ciò che si svilupperà in seguito.

Nel libro Charaka samhita, il primo testo Ayurvedico, inizia descrivendo l’incontenibile desiderio di longevità dell’asceta Bharadvaja, saggio animato dall’ardore profondo della conoscenza. Ma questo ardore non era sufficiente a fargli ottenere la conscenza dell’Ayurveda custodita dagli dei e, per apprenderla gli occorreva un Maestro.

Per questo l’asceta Bharadvaja si spinse fino ad avvicinarsi al dio Indra, il quale non è il dio che possiede la conoscenza originaria della medicina, ma l’ apprese dai divini gemelli Asvin, i quali l’avevano ricevuta da Prajapati, il padre delle creature, che a sua volta l’apprese da Brahma, che è il primo possessore.

Bharadvaja preferì chiedere aiuto ad Indra, perché quest’ultimo non aveva ancora trasmesso la sua sapienza a un discepolo e, per tradizione, chi riceve un insegnamento non è libero di tenerselo per sé, ma contrae un debito  verso i suoi Maestri che può essere estinto solo quando tale insegnamento sarà trasfuso in un altro individuo. Tutti gli altri Dèi avevano già operato la trasmissione.

Bharadvaja non vuole conoscere l’Ayurveda soltanto per trarne vantaggio personale, ma anche per riferirlo ai grandi veggenti (rishi) che lo avevano mandato in missione da Indra. Questi grandi saggi avevano constatato con molta tristezza che le malattie impedivano agli esseri umani di vivere serenamente e di svolgere le loro pratiche religiose e, speravano che Bharadvaja riuscisse ad ottenere da Indra un rimedio.

Bharadvaja non apprende dal dio Indra l’Ayurveda nella sua forma originale, ma in un breve riassunto. Grazie alla sua straordinaria intelligenza, egli colse con una fulminea intuizione la smisurata dottrina ayurvedica che applicò a se stesso (visse una lunga e felice vita) e la raccontò ai grandi saggi. Di maestro in discepolo, l’insegnamento  giunse poi ad Atreya Punarvasu e da lui ad Agnivesha, l’autore della Charakasamhita, il primo testo scritto dell’Ayurveda


 
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